La casa di legno

Tempo stimato di lettura: 2 minuti e mezzo.

***

Viveva in una casa di legno, pavimento e pareti.

Viveva in una casa che dava sempre calore.

Un abbraccio: l’abbraccio della natura.

Non era cemento; non erano fredde piastrelle e stucco.

Erano travi e listerelle.

Era, com’è che si direbbe oggi?

Ah sì: era ecosostenibile, ecologica.

Era una casa, era la sua.

Viveva in una casa di legno, chiudeva la porta e fingeva di abitarci davvero: dentro un albero, in un bosco.

Chiudeva il mondo fuori e basta, non ci pensava più.

Alcuni dicevano che si sarebbe stancato presto, che la vista del legno stufa, annoia.

Lui più guardava le pareti di casa e più si stupiva, il legno sembrava uguale, ma non lo era: mutava.

Osservava le venature, le crepe; sì, erano arrivate anche loro: le crepe.

La perfezione oggettiva non esiste.

Per lui quella era perfezione: legno e crepe.

Crepe piccole, poco profonde, crepe che fanno solo figura, ma non segnano dentro.

Resina.

Odore di resina e legno.

Chiusa la porta non sentiva altro.

Chiusa la porta osservava il mondo illuminarsi fuori, dalla finestra.

Leggeva e pensava, pensava e leggeva, come ogni giorno si riposava, ma quello non lo era; quello non era un giorno qualunque: era la fine.

Chiusa la porta non sentiva altro e così non l’aveva sentita: l’acqua arrivare.

Ogni sera guardava le crepe sulle sue pareti di legno, crepe innocenti, poco profonde.

Le guardava, si passava una mano sul cuore, accarezzava la gatta che, anni addietro, aveva deciso di vivere lì, protetta dal calore del legno e dalle mani di un uomo.

Da quelle mani venne strappata.

Non ci fu il tempo.

Niente lacrime.

L’acqua era tanta, troppa: non ci fu neanche un pensiero.

Ci fu solo il tempo per sbattere la testa, annegare e morire.

La casa di legno, la gatta e la vita: distrutte.

Tutta colpa di quella diga in cemento.

Anzi no, colpa dell’uomo che l’aveva progettata e posizionata lì, proprio lì: dove la montagna frana.

Colpa di chi sapeva, ma pensava solo ad arricchirsi.

Una frana, un’onda altissima, come non si era mai vista: il boato, l’acqua che scorre, il silenzio.

Vajont, 9 ottobre 1963.

1910 persone.

La casa di legno, lui e la gatta.

Un disastro annunciato.

Uomini che si arricchiscono a discapito della vita altrui.

1963 – 2018.

Nulla è cambiato.

Il giostraio ti propone un brano da ascoltare dopo la lettura.

Andrea Bocelli – Proteggimi:

3 commenti su “La casa di legno

  1. Ben tornato Giostraio, bellissimo questo giro! A presto. Fede

  2. Michele L'Erario

    Ciao Valentina, ho visto sono rimasto molto indietro, parto da questo giro, del 7 Settembre: sette è il mio numero, Settembre il mio mese di nascita, se ci penso anche 7 è il mio mese di nascita, visto che sono nato prematuro a sette mesi.
    Questo è il primo giro della nuova annata, e tra un mese sarà Natale, e poi chissà quando mi leggerai, ma i tuoi giri non hanno tempo, valgono sempre, anche quello che ci scriviamo. Questo giro ha la stessa stesura dell’ultimo che ho letto: le scarpe, le francesine, quelle della sarta, numero 35.
    Mi prendi, mi fai vivere la loro vita, mi rendi familiare le loro vite, rimango affascinato, e poi; più niente: tutto finisce, anche questa vita qua, di questo giro.
    Per la precisione, quasi duemila furono le vite che finirono travolte dalla tragedia del Vajont.
    Valentina, ma in una casa di legno, tutta, ma ci sei mai stata dentro?
    Penso di sì, per come l’hai descritta in questo giro.
    Da me, una così, non la trovi, e forse saranno le migliori: si utilizza il legno con le sue venature, per darti una casa che quasi respira con te.
    Da come me l’hai descritta, mi sono detto “anch’io voglio una così, una che ti parla, ti riscalda, vive con te.
    Il protagonista che legge, riflette, e il suo gatto che magari si stiracchia, o fa le fusa strisciando vicino alle sue gambe, chi può dirlo, era una delle tante sere che la vivevano assieme, insieme alla casa.
    Così credevano, ma non fu più come prima: la tragedia.
    Hai parlato di disastro annunciato, e di uomini che si arricchiscono a discapito della vita altrui, e poi ancora, “nulla è cambiato”, a seguito di altre tragedie molto più vicine a noi, tipo il ponte di Genova.
    Mi chiedo se è sempre così: di fronte ad una tragedia si può o si deve parlare “sempre” di disastro annunciato.
    È una riflessione che mi hai fatto venire.
    Prendi il ponte, di chi è la colpa, a trovarli, i veri responsabili in quelle montagne di carte, perizie e contro perizie, i nomi forse usciranno, o tutto sarà sepolto nella sonnolenza che sarà poi “scitata” da un altro evento tragico.
    Si poteva fare qualcosa, si doveva fare qualcosa, direi io, per il ponte e tutto il resto che toglie vite.
    Quindi controlli e attenzioni regolari nel tempo.
    Nulla è cambiato, visto che da queste lezioni l’uomo non impara mai.
    Pecca di non curanza, di superficialità, o di semplice arricchimento in danaro.
    Non solo, c’è dell’altro: spingersi sempre più in avanti, sempre un tantino più in là, superando limiti di spazio e di tempo.
    Diciamo, ha fatto grandi conquiste: si viaggia in aereo, si vive più a lungo, e tante cose prima immaginabili.
    Solo che, quando sbaglia, sbaglia.
    Sbaglia, quando non si accontenta.
    Sbaglia, quando dice che non bisogna mai pensare al male se no le cose non si fanno.
    E tu ti vedi crescere opere sempre più mastodontiche, grandiose, e poi ti vedi che qualcosa va storto, e poi perizie su perizie, ci si ferma qui, no perché nulla cambierà, si andrà avanti, si impara dagli errori.
    Però non è giusto che bisogna sempre imparare dalle vite innocenti.
    Come vedi il tuo giro mi ha fatto riflettere questo, tu che dici?
    A presto.

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