Cambiare si può?

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***

La osservava.

La osservava da lontano, in silenzio.

Provava ad immaginarla con qualche anno in meno.

Più giovane, brillante, meno macchiata e logorata dal tempo.

Si sbagliava, il tempo non logora, il tempo passa e basta, ciò che logora è il resto.

Logora la mancanza di cure, la mancanza di attenzione, la mancanza di affetto, amore: l’incuria.

L’aveva logorata l’incuria, snaturata.

Più il tempo passava e più l’incuria lo diventava: ingombrante.

Non una persona.

Non una persona si era destata dal torpore e l’aveva fatto: aiutarla.

Nessuno aveva alzato un dito, qualcuno si era posto domande, nessuno aveva avuto il cuore mosso, sfiorato dall’affetto.

Così era rimasta sola, abbandonata a se stessa.

Vecchia, straccia.

L’indifferenza gelida, ghiacciata, si era fatta grandine e l’aveva spaccata: fatta in pezzi.

I frammenti erano rimasti in terra, abbandonati, nessuno li aveva raccolti, nessuno aveva tentato, almeno sul momento, almeno per “fare il gesto”, a rimetterla insieme.

Giorno dopo giorno sguardi indifferenti si sono posati sulle sue crepe, l’hanno, di fatto, attraversata.

Da giovane invece lei lo era stata, un sigillo di energia, vita, ambizioni, desideri e sogni.

Ora tutto ciò era andato, via.

Il calore mancava da tempo.

Chi la guardava lo vedeva subito: il grembo vuoto, sterile, il grembo che un tempo aveva accolto tutti, un tempo li aveva curati, cresciuti e nutriti.

Qualcuno per lei aveva pianto, molti avevano sofferto.

Qualcun’altro avrebbe voluto farlo: curarla e rimetterla insieme, ma senza i giusti mezzi il volere non si trasforma in potere.

Così l’incuria se l’era presa.

E ora?

Ora l’incuria ingombrante è arrivata sulla soglia di casa, ora l’incuria affamata chiede altro nutrimento.

Lui la guardava, finestre rotte e mattoni rossi che a stento stanno insieme.

Guardava lei: la vecchia fabbrica.

Guardava i suoi pugni: vuoti.

Non aveva nulla a cui aggrapparsi.

Li abbassò.

Una mano si era posata sul palmo.

La mano di sua figlia.

Lui l’aveva capito, per combatterla, l’incuria, si doveva partire dal basso, da quei mattoni rossi che, nonostante tutto, stavano ancora insieme.

Giunse rapida, inaspettata.

Una domanda.

“Com’era il dettato del primo comma dell’articolo 1° della Costituzione?”

Ah già: L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

Forse forse, ma solo forse, un forse piccolo, a mala pena percepibile, beh, forse.

Forse le fondamenta di questa nostra Repubblica democratica si sono indebolite: scricchiolano; però si può, cambiare si può!

Il giostraio ti propone un brano da ascoltare dopo la lettura.

Giorgio Gaber – Si può:

Un commento su “Cambiare si può?

  1. Michele L'Erario

    Ho guardato la foto, la sto ancora guardando, a dire il vero, è rimasta impressa nella mia mente; una vecchia fabbrica abbandonata, logorata dal tempo, no dall’incuria, come hai ragione: il tempo passa, è l’incuria che l’ha resa tale, vecchia, fatta a pezzi, desolata.
    Come ti dicevo mi sono soffermato molto su questa foto, di solito le foto che scegli sono da cornice al tuo racconto, questa no, è la protagonista.
    Come, mi dirai, “allora quello che ho scritto passa in secondo piano, ti ha colpito la foto, e quello che ho scritto, tutto come sfondo”.
    Ti dirò a vederla lì nella foto ho capito tutto, quella fabbrica è la protagonista, stai parlando di lei, anzi di più, non ci sarebbe stato questo giro se non ci fosse stata lei, sola e abbandonata, e tu ti ritrovi a vederla spesso, lì sempre più sola.
    Le parole ti sono venute da sole, il giro ha preso forma, il pensiero che le rivolgi quando la incontri per strada si è tradotto in una denuncia dello stato dei fatti, e quella sottile speranza che traspare sul finale del racconto: “cambiare si può “.
    Cambiare, dobbiamo augurarcelo, non solo, dobbiamo volerlo.
    Io penso che quando una fabbrica chiude, tutti noi perdiamo, anche quello che continua a lavorare in un’altra, perché perde il paese nella sua totalità: le perdite sono di due tipi, utilizzo un terminologia dell’economia, nel breve e nel lungo periodo.
    All’inizio perde l’operaio, tutta famiglia, ovviamente; e poi noi tutti.
    La ricchezza diminuisce, diminuisce il pil, diminuiscono i soldi che girano, diminuisce lo stare bene tutti, e in questo perdiamo tutti, anche quello che continua ad avere la pancia piena, sì perché anche quello della pancia piena via via sarà sempre meno piena, proprio perché i soldi non girano.
    Allora si potrebbe pensare che le cose si metteranno in sesto passata la crisi, forse, ma i danni ci sono, quante fabbriche come “quella” ci sono in giro.
    Tu hai visto cambiamenti, “cambiare si può”, ma la tua fabbrica coi mattoncini rossi quanto tempo deve aspettare?
    Poi c’è un discorso di lungo periodo: la dipendenza dagli altri.
    Per dipendere il meno possibile dagli altri, bisogna essere capaci di saper fare un pò di tutto, come si dice faccio da me che ci vuole, sicuramente si risparmia tempo nell’aspettare, non solo, tempo e denaro!
    Quando si chiude, non si produce, lo sappiamo, ma succede anche che viene persa questa capacità di “saperlo fare”, avere una facoltà produttiva che se ferma, finisce, si perde.
    Imparare è difficile, ci vuole tempo; disimparare se succede avviene molto velocemente, e ripartire non è facile.
    Il punto dolente, dicevo, è la dipendenza, infatti noi tutti abbiamo la necessità di soddisfare dei bisogni, beni e sevizi, che se non li produciamo noi, finiamo per chiederli agli altri che sono pronti a fornirceli, ma alla fine con quali soldi se noi stessi non li produciamo con il lavoro.
    Il lavoro crea ricchezza, benessere e limita le dipendenze altrue.
    Il primo articolo della nostra costituzione la sapeva lunga: il paese per essere unito, senza tensioni sociali e stare bene, bisogna lavorare.
    Credo che si sta verificando il contrario, il nostro, sembra un paese dei balocchi: festa tutti i giorni.
    Ci vuole serietà, bisogna stringere ciò che di più caro, importante abbiamo, non mollare, riprendere, ricrescere, ripartire perché “cambiare si può”.
    Anche perché se già dipendiamo da altri per le risorse energetiche, non possiamo avere il lusso di dipendere per tutto il resto, ma poi il nostro “Made Italy”, la nostra creatività tanta apprezzata la vogliamo perdere, ci hanno copiato, e che facciamo adesso ci compriamo le brutte copie degli altri!!
    Primi se è possibile, ma mai secondi a nessuno.
    Ti ho detto che quella fabbrica con i mattoncini rossi è la vera protagonista di questo giro, a presto.

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