La montagna e l’uomo

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È un letto di pietre lisce; tonde.

È acqua che scivola; fredda.

È il cielo; limpido.

È l’aria leggera, fresca; buona.

È lo spazio; ampio.

È tutto ciò che allargando le braccia, muovendo il capo, ha visto, ascoltato, percepito.

Il vento che parla.

Il sole che scalda.

È montagna, la sua montagna.

È cresciuto avendola sempre accanto, dal giardino di casa alzava lo sguardo e lei lo salutava.

Era rassicurante, lui cresceva, cambiava, ma lei c’era sempre, guardiana della vita, paesaggio familiare in cui lo sguardo si va a consolare.

La vita sarebbe mutata, diventata dura, complicata, ma lei era una costante, una presenza secolare, pronta a ricordargli che per quanto l’uomo si affanni, la sua vita paragonata all’eterno è un battito d’ali, quindi affannarsi sì, ma fino ad un certo punto, gioire della propria esistenza, prendersi il proprio tempo.

Questo gli aveva insegnato.

Di generazione in generazione lei impartiva la sua lezione.

Lui credeva che sarebbe stato così per sempre.

Si sbagliava.

Un’altra persona si era frapposta fra lui e la montagna.

Una persona ignorante, ingrata.

Una persona che in una notte d’autunno l’aveva incendiata.

Ingrata, meschina.

Una persona che dalle fiamme traeva gioia, una persona che, usando come tramite il fuoco, aveva cercato di imporsi su di lei: la montagna.

La distruzione.

Questo ora vede dal proprio giardino.

Lui si era sentito inutile, non aveva potuto aiutarla, la sua montagna, curarla, aveva solo potuto con altri tentare di arginare le fiamme, ma il fuoco è potente, con lui non si scherza.

Ora la guarda, picchiata, umiliata, ferita; una lacrima.

È un uomo che piange per la vergogna, la vergogna di appartenere alla stessa specie di quello che si è permesso di farle così male.

Lei si rialzerà, ci vorranno anni, ma lui non la potrà vedere rialzata, di nuovo forte, lui potrà solo sperare che il fuoco non torni.

Si infila le scarpe, cammina sul sentiero.

Arriva in alto, c’è ancora il letto del torrente, quello in cui giocava da bambino.

Allarga le braccia, muove il capo, la sente.

Sotto la cenere la sua montagna c’è ancora, lei è più saggia, sa che esiste l’uomo buono e l’ingrato.

Sa che lei continuerà ad essere, tornerà più forte di prima, l’uomo ingrato per lei è solo un battito d’ali, un uomo che ha sprecato, provocando distruzione, il suo tempo.

La vita dell’uomo vale se contribuisce a migliorare il futuro, quell’uomo ingrato col passare del tempo sarà dimenticato.

Alla fine avrà vinto lei: la montagna.

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Il giostraio prende la parola:

Ho scritto questo giro di giostra accompagnata dalla tristezza, lo dedico alle montagne del Canavese, le “mie” montagne, devastate dagli incendi; montagne che hanno conosciuto la mano meschina e ingrata di un uomo “cattivo”.

Il giostraio ti propone un brano da ascoltare dopo la lettura.

I ratti della Sabina – L’incendio: