Quel vecchio amico

Gli occhi hanno la stessa espressione, è l’esperienza ad essere diversa, aumentata.

Si può essere “gli stessi” ugualmente?

Sì, si può, glielo stava dimostrando lui.

Erano amici da tanto; anni.

Avevano condiviso esperienze, sogni, crescita.

Poi erano cresciuti ancora, si erano persi.

La vita è strana, a volte rende soli, ma è solo una convinzione personale, si imbocca la strada della solitudine e ci si dimentica degli altri, gli altri che per te c’erano stati, gli altri che una mano l’avrebbero tesa, però dovevi chiedergliela, quella mano.

Più si sta soli, più lo si diventa, soli.

Questo era accaduto.

Si erano persi di vista, se l’erano domandato, ma proprio non riuscivano ad individuare quel momento, il momento in cui ad un bivio, senza salutarsi, si erano separati.

Era successo, ogni tanto ci avevano pensato, ma poi avevano avuto altro per la testa, altri impegni, altri doveri, altre montagne da scalare, ognuno con il suo zaino, ognuno con compagni diversi, nuovi.

E ci pensavano, ah se ci pensavano, a quell’amicizia, in silenzio, la mattina appena svegli, la sera, anche mentre si lavavano i denti, poi premevano la leva del rubinetto, l’acqua cessava di cadere, si asciugavano la faccia e oltre all’acqua, rimaneva sull’asciugamano anche quel pensiero.

Una volta l’anno, forse due, capitava di incrociarsi casualmente:

<<Ciao, come stai?

<<Bene, tu?

<<Anch’io>>.

Sarebbe bastato essere sinceri.

Rispondere: bene, nel complesso, ma forse non così bene, forse mi manca un amico, un amico che mi conosca, che mi abbia visto crescere, che sappia riconoscere negli occhi dell’uomo, dell’adulto, il ragazzino che sono stato; un amico che mi abbia conosciuto prima, prima di crescere troppo e diventare uomo.

Un amico che mi ricordi chi sono.

Le nuove amicizie sono belle, ma certi rapporti, profondi, si creano solo nell’adolescenza, perché?

Perché gli adolescenti sono più sinceri, fra loro, si sostengono a vicenda nei primi passi verso “il diventare grandi”.

Gli amici di quegli anni servono, ricordano come si era, come si voleva essere, aiutano a non sbagliare strada.

Si stavano guardando negli occhi, si riconobbero, due amici, sinceri.

Per la prima volta, dopo anni, lo dissero ad alta voce: si erano persi di vista per la vergogna.

La vergogna di ammettere che la vita, imprevedibile, non era stata gentile, non lo è mai, così si vergognavano di non essere diventati come avrebbero voluto.

Ognuno aveva pensato che invece l’altro “ce l’avesse fatta” e così era arrivata, la vergogna del confronto, la paura di ammettere all’amico, ma anche a se stessi, che non era andato tutto come si sperava.

Il timore di mostrarsi fragili.

Da dove erano nati vergogna e timore?

Dall’essere diventati adulti e aver perso la sincerità, guardare solo all’apparire e “all’apparire bene”.

Gli occhi hanno la stessa espressione, è l’esperienza ad essere diversa, aumentata.

Finalmente lo fanno.

Ammettono gli sbagli fatti.

Ammettono che alla fine, anche se non hanno realizzato i progetti iniziali, non sono stati così sfortunati.

Ammettono che se fossero stati sinceri prima, non avrebbero perso tutto quel tempo.

Ammettono che da domani sarà diverso, domani si sveglieranno e sapranno di aver ritrovato un amico.

L’esperienza passata farà sì che questa volta non si perdano, perché serve sempre; il sostegno di un vecchio amico.

Il giostraio ti propone un brano da ascoltare dopo la lettura.

Renato Zero – Amico: