Non ho voglia di lavarti, questa è la verità.
Uso la solita scusa, ti guardo e ti dico: “non ho il tempo”.
Il tempo, già, il tempo, quel qualcosa che manca sempre, che non è palpabile, ma che si sente addosso, il suo passare si sente.
Ti svegli una mattina e scopri che mentre eri distratto, mentre facevi altro, lui è passato, senza lasciare nulla, neanche un saluto, ma portandosi via per sempre un pezzo di te.
Così uso la scusa che hanno fatto propria ormai in molti: ” non ho tempo di lavarti”.
Ma non è vero.
Non ho voglia.
Non ho voglia di prenderti, tirarti fuori dalla borsa della spesa, guardarti, sentirti sotto ai polpastrelli, fresca, umida.
Non ho voglia di prendere il coltello e tagliare via ciò che di te non mangerò, tagliare via ciò che sarebbe difficile masticare.
Scoprire piano, taglio dopo taglio, risciacquo dopo risciacquo, arrivare al tuo cuore, il tuo morbido cuore, che è sempre pulito, immacolato, sempre tenero.
Ancor prima non ho voglia di comprarti, uscire di casa, cercare parcheggio, strusciarmi contro le spalle delle altre persone, fare la coda, solo per poterti comprare dal “produttore”, al mercato.
Dove una mano ancora sporca di terra ti prende e ti fa girare davanti al mio sguardo, buttandoti con poca grazia nel sacchetto.
Ecco, non ho voglia di sporcarmi con le persone, al mercato c’è rumore, c’è terra, sudore, fatica, a volte ho trovato anche il buon umore, quello semplice, quello che “basta il sole quando serve e la pioggia quando deve e son felice”.
Lo ammetto, non ho neanche la voglia di comprarti, così vado al supermercato, al grande supermercato, quello dove tutto è bello lucido, ordinato, senza terra, colorato.
Certo, le persone ci sono lo stesso, la coda pure, ma non c’è il sapore del produttore, lì non vedo la fatica di chi ti ha fatta crescere, curata.
Lì mi illudo, come i bambini, che tutto ciò che è al supermercato, nasca proprio così, sugli scaffali, uno schiocco di dita e tutto c’è, da dove arrivi non è rilevante, è lì, lo posso toccare, avere subito, quando voglio, basta allungare la mano.
Ed eccomi qui, davanti al banco frigo, i peli delle braccia leggermente alzati, piccoli brividi che mi attraversano il corpo, sento il tremare dell’energia del liquido refrigerante che ti mantiene fresca, bella, appetitosa.
Osservo le diverse confezioni, ci sono già i miscugli fatti, diverse tue varietà mischiate assieme.
Scelgo quella che più mi attira, ma non per il gusto, oh no, per la confezione, la più colorata, la più frizzante, la più studiata.
Ti porto col carrello fino alla cassa, ti carico sul rullo con il resto della spesa, faccio attenzione, non ti posso buttare nella borsa per prima, ti rovineresti, così ti metto da parte e sei l’ultima ad entrare nel sacchetto.
Bene, andiamo a casa.
Questa sera ti accompagneró con del formaggio.
Ah, se sapessero i bambini come si fa a farlo, il formaggio, loro neanche han visto come si munge una mucca per avere il latte, ah già, neppure io l’ho visto dal vivo, anch’io credevo che il latte nascesse già così, nel cartone.
Bene, siamo a casa e tu sei pronta.
Sì, tu sei pronta, già lavata, asciugata, sei pronta per essere mangiata.
Cosa devo fare io?
Strappare il pacchetto, buttarti in una scodella, condirti, anzi no, ti metterò a tavola direttamente nella tua vaschetta, così ognuno ti condirà nel piatto.
Del resto, non ho il tempo di condirti.
Cara insalata, non ho il tempo di comprarti, di lavarti, di asciugarti e di condirti, quasi non ho il tempo di mangiarti, assaporarti, ma tanto non sai più di niente, chissà cosa ti hanno fatto, come ti hanno lavata, disinfettata, confezionata.
Ma come ti hanno ridotta?
Miscuglio di tue diverse varietà a pezzettini, alla fine non riconosco più nessun gusto, sei insapore.
Lo so, non mi devo lamentare, è colpa mia, non ho il tempo, no, non è vero, la verità è che non ho voglia.
Te lo prometto, domani andrò dall’agricoltore, ti compreró da lui, promesso, voglio riscoprirlo, il piacere di lavarti, il tuo profumo, il tuo sapore.
Te lo prometto, me la farò tornare la voglia, mi imporrò di trovare il tempo, mi sforzerò e so che tornerà, tornerà la voglia di lavarti.
D’ora in poi cercherò il gusto, il vero gusto, naturale.
“Si è ciò che si mangia”.
È stato questo pensiero a spaventarmi, io non voglio essere insipido, insapore!
Il giostraio, pur non essendo un grande intenditore di musica, né conoscitore della storia personale di ogni singolo artista, vi propone un brano da ascoltare dopo la lettura.
N.B. la canzone, come sempre, è stata cercata e scelta dopo aver scritto il giro di giostra e non viceversa.
Rita Pavone – Viva la pappa col pomodoro: