Il gigante

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Un essere grande, enorme.

Mani spesse, dita grasse.

Una mano stretta attorno ad un nero ombrello.

L’altra con le dita ben salde arrotolate alla maniglia di una valigetta marrone, conforme alla sua mole.

Oro, le cerniere di ottone della valigetta riflettono la luce.

Un naso; grosso quanto una patata.

Occhiali sottili che quasi si perdono sul viso.

Cappello; un cappello marrone sgualcito a coprire parzialmente l’ampia fronte.

Sorriso: di circostanza.

Baffi curati, quasi disegnati.

Giacca marrone, pantaloni cachi.

Non sa perché, ma lo immagina sempre così: giacca marrone e pantaloni cachi.

Le scarpe?

Non ci aveva pensato, ma ora lo fa e lo immagina scalzo, senza scarpe, piedi sporchi, callosi e poco curati.

Non è una persona, è un essere enorme, crudele, infame.

Così glielo hanno raccontato.

Lui gli dà una forma umana, ma dalla statura disumana, imponente, un palazzo in grado di offuscare e fare ombra al sole, alla gioia.

Non sa perché, ma oltre alla valigia lo vede con un ombrello in mano, l’uso che ne possa fare non lo sa, ma ce l’ha, nella sua immaginazione l’ha sempre appresso.

Forse è un piccolo barlume di speranza, l’ombrello, capace di regalare riparo dalla pioggia, ma anche un monito, può essere usato come un bastone, uno spesso bastone e può far male, ah se può far male.

Sulla schiena ha una porta.

Proprio al centro.

Possiede la capacità di muoversi, cammina, corre anche.

Lo sta guardando, l’ha davanti agli occhi dell’immaginazione, cammina, si siede, salta, corre, osserva anche loro: gli esseri umani.

Piccole formiche intente a realizzare l’impresa: la scalata.

Compiere la scalata partendo dai piedi scalzi, mani nude, sudore, pianto, c’è chi scala da solo, chi si aiuta e sostiene in cordata, chi resta fermo al tallone, seduto e aspetta.

La porta sulla schiena è chiusa, chi ci arriva bussa, attende, sono tanti, sulla schiena, appiccicosi, sudati, fermi a sperare.

Ogni tanto si apre, qualcuno entra, qualcun’altro si affaccia e lancia una corda, l’afferra quello che è rimasto al tallone, la lega all’imbrago in vita e si lascia sollevare, alcuni lo guardano male, lo insultano, altri lo invidiano soltanto, lui senza fatica può entrare:fortunato.

Un essere enorme, gigante.

Una ressa di persone che scalano, bussano e sperano di entrare.

Appena entrati vengono ributtati giù, nei piedi, pronti per iniziare la nuova scalata, ma non tutti, alcuni, fortunati, possono continuare a salire, altri non proveranno mai a salire, altri scenderanno solo.

I meno fortunati non faranno altro che entrare, stare dentro qualche mese, tentare di aggrapparsi, per poi essere vomitati fuori, ancora e ancora.

Questo vedono i suoi occhi, questo è come la sua immaginazione lo rappresenta, perché è così che gliel’hanno raccontato, gli altri, quelli che sono già dentro, quelli che sono “più grandi di lui”, che hanno “esperienza”.

L’hanno già spaventato, chissà perché lo fanno, spaventarlo, forse per prepararlo?

Per mostrargli la verità: la vita è difficile, complicata, dura, servono unghie affilate, determinazione, forza.

Ma lui già lo sapeva, non è che crescendo fosse stato tutto rose e fiorellini, fiorellini e rose.

Ma loro no, loro ci tengono a sottolineare quanto sia: terribile, crudele e amaro.

Perché il mondo del lavoro è così, siamo tanti e “fare carriera”, anche solo trovare oggi un impiego decente, non è semplice.

Lui lo sapeva già.

I suoi occhi gliela mostravano la realtà.

Forse era giusto così, mostrargli tutto prima, prepararlo, o forse sarebbe stato meglio regalargli un sogno come paracadute.

Lui era lì, fermo.

Lo stava guardando, non avrebbe più potuto aspettare, attendere.

Si rimboccó le maniche, guardò in faccia il “mondo del lavoro” così come se l’era immaginato, grosso, enorme, giacca marrone, pantaloni cachi, scalzo.

Partí dai piedi e cominciò la scalata, puntando con grinta alla porta.

Lui sarebbe entrato, una volta dentro?

Non lo sapeva, ma aveva unghie, aveva fiato, era pronto.

Così l’aveva immaginato: il mondo del lavoro.

Sperava di sbagliarsi, sperava che in realtà fosse un’anziana signora gentile, grembiule in vita, mani calde, pronte ad accogliere con un abbraccio.

Com’è davvero questo “mondo del lavoro”?

Il tempo delle domande, dei dubbi, era finito.

Presto l’avrebbe scoperto.

Il giostraio ti propone un brano da ascoltare dopo la lettura.

Rino Gaetano – L’operaio della Fiat (La 1100):