I giorni passano e noi passiamo con loro

Tempo stimato di lettura: 3 minuti.

***

“È così: i giorni passano e noi passiamo con loro”.

Il temporale di pensieri che aveva in testa non era riuscito a sradicarle, a sradicare quelle otto parole che erano entrate rumorosamente, senza bussare, senza chiedere il permesso, si erano semplicemente stanziate lì: avevano messo grosse e robuste radici.

Insieme a loro era arrivata anche lei: la sensazione che l’uomo stia sprecando se stesso.

Sì, che si stia strapazzando, consumando per niente.

“Alla fine cos’è un anno?”.

Questo gli aveva risposto sua madre, quando, ormai vedova, gli aveva chiesto di togliere la giacca, la cravatta, arrotolare sui gomiti la camicia, piegare su se stesso l’orlo dei pantaloni, cambiare scarpe: lasciare quelle eleganti e laccate a casa per indossarne altre.

Cambiare vestiti per cambiare se stesso.

“Solo un anno, poi i tuoi fratelli saranno abbastanza grandi e non ti chiederò altro, sarai libero di andare”.

Lui avrebbe voluto raccontare oggi che quel giorno senza battere ciglio aveva acconsentito, era accorso in aiuto di sua madre: della sua famiglia; invece no, invece lui era andato in crisi, in panico quasi, ma come biasimarlo?

Lui era uno di quelli che “ce l’aveva fatta!”.

Lui era uno di quelli che dalla schiena piegata sulla terra del padre, aveva fatto leva sul mondo ed era salito fino alla vetta, lo era diventato: un uomo d’affari.

Ed era contento.

Fiero.

Felice.

Poi era successo, suo padre aveva sbagliato, un piccolo errore che può capitare a tutti, ma che a lui, quel giorno, era costato la vita, un incidente ed era morto sul colpo.

Buio e freddo.

Come le notti ai primi di settembre, dove il calore del giorno viene scacciato dall’aria fredda, pungente, dell’autunno che ricorda a tutti che arriverà presto, che i giorni passeranno veloci e le notti diverranno ancora più fredde.

Così era tornato, non per Natale, ma questa volta per restare, almeno un anno, poi chissà.

Proprio non aveva potuto farlo: tirarsi indietro.

La terra fece in fretta ad entrargli sotto alle unghie, a cambiare le morbide mani, a ricordargli chi era: il figlio di un uomo che lavora la terra e che era morto sopra di essa.

Era tutto disposto, aveva ingaggiato personale di fatica, così avrebbe potuto farlo ancora: gestire parte dei propri affari, in modo da non perdere tutto, in modo da esserci ancora, del resto i clienti più importanti li avrebbe gestiti sempre e solo lui.

Due vite in una.

Sua madre si domandava spesso quale delle due alla fine avrebbe scelto.

Neppure lui lo sapeva.

Ciò che sapeva è che suo padre non era solo una schiena piegata sulla terra, suo padre aveva una mente fervida, era un pensatore, in un’altra vita: un filosofo.

Sì interrogava sul mondo e lo osservava con distacco, perché si sentiva bene, sfruttava appieno i suoi giorni, non la sprecava: la sua vita.

Non stava vivendo dicendosi “ancora un altro po’ e poi forse inizierò a fare ciò che amo, lui no: lui lo stava facendo”.

Era tutto scritto su quel lurido quaderno, lasciato in un mobiletto della rimessa.

L’aveva colpito una pagina, una solitaria scritta, posta proprio al centro, pareva il risultato di un profondo pensiero:

“È così: i giorni passano e noi passiamo con loro”.

8 parole per ricordarsi che non è solo il tempo che scorre veloce, lo facciamo anche noi, ma come si fa a non sprecare se stessi?

Ed eccoci qui, spettatori silenziosi del temporale che lui aveva in testa, temporale che se non troveremo la nostra risposta lo farà: si abbatterà anche in noi.

Il giostraio ti propone un brano da ascoltare dopo la lettura.

Vasco Rossi – Cambiamenti: