Un gheriglio di città

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L’acqua che scorre.

Piccole onde l’accompagnano.

Cosa?

Un gheriglio di noce, sì, un guscio di noce diviso a metà, buttato in una fontana.

Perché non in un laghetto o in un fiumiciattolo?

Perché lì il cemento ha mangiato tutto, ha coperto, tinto di grigio la terra, il verde dei prati è scomparso, ma non del tutto.

Lo si ritrova nelle aiuole colorate di fiori, accanto ad un bel cartello con scritto: “vietato calpestare le Aiuole”.

“A-I-U-O-L-E”.

La prima parola che insegnano a scuola, perché lei le raccoglie e le fa sue tutte: le cinque vocali.

La prima parola che riporta la natura in città, una natura che non accoglie i piedi scalzi dei bimbi.

I “giardinetti”.

Altra parola, vezzeggiativa di un giardino, che, però, giardino non è; è terra butatta tra porfido e calce; è prato in cui scalzi non si va, non si sa mai in cosa, nascosto in agguato tra i baffi dell’erba, di non naturale, si possa inciampare.

Meglio munirsi di scarpe dalla rigida gomma, meglio giocare su scivoli plastici e colorate altalene.

Meglio distrarre con finti cavalli di ferro.

Fantocci, stilizzati cavalli che si fingono veri.

La natura cacciata dalla città si cerca di farla tornare, ma i colori non fanno un giardino, non fanno “natura”.

I colori: il paliativo cittadino.

Come fare per farla tornare?

Provare a guardare le stelle.

Ah no, anche quelle in città ora son spente.

Un tappeto di stelle che la luminosa città ha messo in castigo.

Piccole onde l’accompagnano.

Cosa?

Un gheriglio di noce diviso a metà.

Un gheriglio di noce di città.

Il giostraio ti propone un brano da ascoltare dopo la lettura.

Toto Cotugno – Voglio andare a vivere in campagna: