La casa dell’anima

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“Dove abita la nostra anima?”.

Poche parole semplici, dirette.

Lo sguardo rivolto all’insù, il braccio alzato, la manina stretta a quella della mamma; perché i bimbi piccoli per stringere la mano alla mamma devono sempre stare con il braccio alzato e non lo abbassano mai, non lasciano mai quella mano, neppure quando il braccio è alzato da troppo tempo ed inizia a fare male, allora alzano anche l’altro e chiedono con occhi speranzosi:

“Mamma braccio”.

Perché non riescono ancora a pronunciare bene le parole, ma la mamma capisce sempre tutto e allora abbassa le mani e se li prende in braccio, anche se a tre anni iniziano a pesare un pochino, anche se c’è già la borsa della spesa che pesa.

Lei invece non aveva chiesto di essere presa in braccio, lei continuava a camminare, con i suoi piedini stretti nelle scarpine appena comprate, senza guardare dove le mettesse, le nuove scarpine, tanto c’era il braccio della mamma a sorreggerla e non sarebbe potuta inciampare, lei guardava la sua mamma e aspettava.

La mamma lo sapeva, avrebbe atteso, ancora e ancora e se non avesse ricevuto risposta, allora l’avrebbe chiesto di nuovo:

“Mamma dimmi, dov’è la casa dell’anima?”.

Angeli custodi e anima, era stata la nonna a parlargliene, aveva detto che tutti hanno un’anima, che gli angeli custodi la proteggono, che i bimbi l’hanno sempre pura e devono cercare di non macchiarla crescendo.

Lei era una bimba coscienziosa, sapeva che si macchiava sempre la camicetta di gelato quando lo mangiava, per questo voleva sapere dove abitasse, per fare più attenzione, mica voleva macchiarla subito, la nonna le aveva anche detto che una volta fatta una macchia non si sarebbe potuta lavare via in lavatrice, ma si doveva fare una lunga penitenza e, ahimè, alcune macchie non se ne sarebbero mai andate.

Lei voleva sapere dove abitasse anche per vederla, controllarla, non sia mai che l’avesse già fatto: macchiarla.

I codini ondeggiavano ad ogni passo che, per l’emozione del momento, si era fatto saltello.

I denti della mamma avevano iniziato a morderlo, il labbro, come faceva a scuola, quando le facevano una domanda complicata, quando proprio non conosceva la risposta e cercava di prendere tempo per inventarsene una, ma questa volta non era a scuola, questa volta la domanda l’aveva fatta la sua bambina e questa volta non avrebbe inventato nessuna risposta.

I denti smisero di mordere; sorrise.

L’aveva trovata, oh sì, l’aveva proprio trovata: la soluzione.

Si era chinata, aveva preso le manine di sua figlia, e le aveva detto:

“Chiedilo alla nonna, è lei che lo sa, lei sa sempre tutto”.

Scacco matto alla nonna.

Questa volta aveva vinto lei, questa volta la mamma era stata più furba della nonna, si era tolta dall’impiccio con eleganza, senza mentire a sua figlia, senza raccontarle bugie.

La bimba aveva sorriso, saltellato sui gradini all’ingresso del palazzo e suonato il campanello: “Nonna siamo noi, siamo arrivate”.

La nonna non sapeva che, di lì a poco, avrebbe dovuto trovare una degna risposta.

La mamma in ascensore stava sorridendo, ma i denti l’avevano fatto, avevano iniziato a mordere il labbro.

Eh già, adesso che la domanda l’aveva sentita, voleva anche lei una risposta:

“Dov’è la casa dell’anima? Nel cuore o nella mente oppure, addirittura, l’anima siamo noi?”.

La porta di ingresso si aprì, la nonna vide le sue bambine varcare la soglia, perché si può crescere sempre, ma per una mamma la figlia sarà sempre “la sua bambina” e la nipote un tesoro unico e raro.

Guardò i suoi tesori sedersi sulle poltrone del soggiorno ignorando la domanda che, di lì a poco, entrambe le avrebbero posto.

Perché non è vero che quando si diventa grandi “non c’è più nulla da imparare”.

Il giostraio ti propone un brano da ascoltare dopo la lettura.

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